Parlare con qualcuno che soffre di un disturbo alimentare non è come avere una normale conversazione. Non si tratta di convincerlo a mangiare di più o a smettere di digiunare. È un momento delicato, carico di paura, vergogna e difese profonde. La cosa più importante? Non dire la cosa sbagliata. E la cosa più utile? Dire la cosa giusta, nel modo giusto.
Perché le parole contano così tanto?
Chi ha un disturbo alimentare non sta scegliendo di non mangiare o di abbuffarsi. Sta cercando di controllare qualcosa che altrimenti gli sembra fuori controllo: emozioni, ansia, senso di valore. Il cibo diventa un linguaggio. E quando qualcuno ti dice "Basta mangiare" o "Sei troppo magro", non sente un consiglio. Sentono un giudizio, una minaccia, un attacco alla loro identità.
Uno studio del Korian Medical Center ha rivelato che il 92% dei pazienti con disturbi alimentari considera frasi come queste profondamente dannose. Non perché siano malvagie, ma perché non capiscono cosa sta succedendo dentro di loro. E quando non capisci, ti chiudi. E quando ti chiudi, non ti fai aiutare.
Cosa dire, invece?
La chiave è l’empatia, non la correzione. Non parlare del cibo. Parla della persona.
- "Mi preoccupo per te e voglio aiutarti." Questa frase, usata dai centri specializzati come Lilac a Milano, funziona perché esprime cura senza colpa. Non accusa, non giudica. Offre supporto.
- "Ho notato che ultimamente salti spesso i pasti." Usa la prima persona. Non dire "Tu non mangi mai". Dì "Ho notato". Così non sembri un giudice, ma qualcuno che ti osserva con attenzione.
- "Se hai voglia di parlare o di sfogarti, io sono qui." Il 78% dei pazienti si sente più al sicuro quando gli viene data la possibilità di parlare, senza essere costretti. Non chiedere "Perché lo fai?". Chiedi "Cosa ti passa per la testa?".
Queste frasi non risolvono il disturbo. Ma aprono una porta. E a volte, è l’unica cosa che serve per iniziare un percorso.
Cosa non dire mai
Alcune frasi, anche se dette con buone intenzioni, fanno più male che bene. Eccoli qui, con il perché:
- "Basta mangiare" - Implica che la soluzione sia semplice. Non lo è. È come dire a qualcuno con la depressione: "Sorridi di più".
- "Sei troppo magro/a" - Il peso non è il problema. Il problema è il pensiero. E dire questo spinge chi soffre a cercare di essere ancora più magro.
- "Ti stai rovinando la vita" - Sembra un avvertimento, ma in realtà suona come un’accusa. Chi ha un disturbo alimentare sa già di essere in pericolo. Non ha bisogno di sentirselo ripetere.
- "Non hai niente di cui preoccuparti" - Minimizza il dolore. La sua sofferenza è reale, anche se non ha un motivo "logico".
- "Sei egoista" o "Non hai forza di volontà" - Queste frasi colpiscono l’autostima. E la forza di volontà non c’entra. È una malattia, non una scelta.
- "Stai bene... ti trovo meglio" - Sembra un complimento, ma per chi ha l’anoressia, significa: "Ora sei più vicino al mio ideale di magrezza". Il 67% dei pazienti lo interpreta come un incentivo a peggiorare.
Non è una questione di essere "politicamente corretti". È una questione di sopravvivenza.
Parlare a tavola: regole d’oro
I pasti sono campi di battaglia. Non per colpa di chi mangia, ma perché il cibo è il centro del conflitto interno.
Quando sei a tavola con qualcuno che soffre di un disturbo alimentare:
- Evita di commentare cosa mangia, quanto mangia, o se lo mangia "bene".
- Non parlare di diete, calorie, esercizio fisico o peso.
- Non fare domande come: "Perché non mangi la verdura?" o "Hai fame?".
- Parla di altro: un film che hai visto, un viaggio che vorresti fare, un ricordo divertente.
Il Centro Lilac e l’Ospedale San Raffaele di Milano consigliano di trasformare il pasto in un momento di connessione, non di controllo. Se la conversazione diventa tesa, cambia argomento. Non insistere. Non forzare. La calma è il tuo strumento più potente.
Le differenze tra anoressia, bulimia e binge eating
Non tutti i disturbi alimentari sono uguali. E il modo di parlare cambia un po’ a seconda di cosa sta vivendo la persona.
Anoressia nervosa: Colpisce soprattutto ragazze tra i 12 e i 25 anni. Spesso negano di essere magre, anche quando sono in pericolo. Non dire: "Dobbiamo fare qualcosa" o "Se non mangi, ti portiamo in ospedale". Questi ultimatum aumentano la paura. Meglio dire: "Voglio capire cosa provi, non perché ti obblighi a mangiare, ma perché ti voglio bene."
Bulimia nervosa: Chi ne soffre si abbuffa, poi si fa vomitare, usa lassativi o fa esercizio in eccesso. Non commentare mai ciò che ha mangiato. Non chiedere: "Hai fatto colazione?" o "Sei stata in bagno dopo?". Queste domande generano vergogna. Il protocollo del Centro Serenis dice: "Non parlare del cibo. Parla di lei."
Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder): È il più comune in Italia (30% dei casi). Chi ne soffre non fa comportamenti compensatori, ma mangia in modo compulsivo, spesso da solo. Qui non serve dire "Fai più sport". Serve dire: "Ti aiuto a riconoscere quando hai fame e quando sei sazio, senza giudizi." L’attività fisica va proposta come piacere, non come punizione.
La negazione è normale. Non arrenderti.
Il 89% delle persone con disturbi alimentari nega di avere un problema, almeno all’inizio. Non è un attacco a te. È la malattia che parla. La paura di essere giudicata, di perdere il controllo, di cambiare è troppo grande.
Quando ti risponde con: "Non è niente", "Sei esagerato", "Non capisci" - non reagire con rabbia. Non insistere. Non urlare. Non chiuderti.
Dì semplicemente: "Va bene. Non voglio forzarti. Ma voglio che tu sappia che sono qui, quando deciderai di parlare."
La pazienza non è debolezza. È la forma più potente di amore.
Il supporto professionale non è un’opzione. È l’unica via.
Un disturbo alimentare non si risolve con le buone intenzioni. Serve un team: uno psicologo, un nutrizionista, a volte uno psichiatra. Il Centro Lilac a Milano e il Centro Fatebenefratelli a Roma hanno visto che il 95% dei casi di recupero completo richiede un intervento multidisciplinare.
Il Dott. Stefano Ferrari, psichiatra a San Raffaele, dice che se si interviene entro i primi 6 mesi dai primi segnali, le probabilità di guarigione raddoppiano. Non aspettare che sia "troppo tardi". Non aspettare che sia "abbastanza grave".
Se vuoi aiutare, aiutalo a trovare un centro specializzato. Non dargli una lista di nomi. Dì: "Ho trovato un centro che sa come aiutare. Non è un ospedale, è un posto dove ti ascoltano. Ti accompagnerei, se vuoi."
Prenditi cura anche di te
Supportare qualcuno con un disturbo alimentare ti logora. Il 63% dei familiari sviluppa sintomi di stress post-traumatico se non ha un supporto. La stanchezza, l’ansia, la colpa, la rabbia - sono normali.
Non puoi dare ciò che non hai. Per questo, devi prenderti cura di te.
- Partecipa a un gruppo di sostegno per familiari. Il Centro Lilac offre "Famiglie al Centro".
- Leggi fonti affidabili, come il sito dell’Associazione Italiana Disturbi Alimentari (AIDA).
- Parla con uno psicologo. Non per "giudicare" chi soffre. Per capire cosa stai provando tu.
Non sei un eroe se ti consumi. Sei un essere umano. E meriti di stare bene, anche mentre aiuti qualcuno che lotta.
La strada non è lineare. Ma c’è.
Non aspettarti che tutto cambi in una settimana. Non aspettarti ringraziamenti. Non aspettarti che ti dica "Grazie, ora sto meglio".
La guarigione è un percorso a zig-zag. Ci sono giorni in cui sembra che tutto peggiori. E poi, un giorno, ti dice: "Ho parlato con lo psicologo. Ho fatto la prima seduta."
Quel giorno, non è un miracolo. È il risultato di tante piccole cose che hai fatto: non hai giudicato. Non hai forzato. Non ti sei arreso. Hai parlato con il cuore, non con la testa.
E forse, proprio per questo, è stato possibile.
Come faccio a capire se qualcuno ha un disturbo alimentare?
Non esiste un solo segno, ma una combinazione: perdita di peso improvvisa, evitare i pasti con gli altri, parlare ossessivamente di cibo o di peso, fare esercizio fisico anche quando è stanco, nascondere il cibo, andare in bagno subito dopo mangiato, indossare vestiti larghi per nascondere il corpo. Se noti più di due di questi comportamenti per più di tre mesi, è un campanello d’allarme. Non diagnosticare, ma osserva con attenzione.
Posso parlare con un ragazzo o una ragazza adolescente che ha un disturbo alimentare?
Sì, ma con delicatezza. Gli adolescenti sono più sensibili al giudizio. Parla in privato, senza altri familiari presenti. Usa frasi come: "Ho notato che ultimamente sembri più stanco/a, e mi preoccupo". Evita di parlare di peso o di diete. Concentrati sul suo umore, sul sonno, sulla scuola. Spesso, il disturbo nasce da un dolore più profondo: pressione, bullismo, ansia da prestazione. Ascoltare è il primo passo.
Cosa faccio se la persona mi dice di lasciarla in pace?
Non insistere, ma non sparire. Dì: "Va bene. Non voglio farti pressione. Ma se un giorno vorrai parlare, o anche solo bere un caffè insieme, io ci sarò." Poi, continua a essere presente. Invitalo a uscire, chiedi come sta la giornata, mandagli un messaggio senza aspettare risposta. La presenza costante, senza aspettative, crea sicurezza.
È utile portare la persona a un nutrizionista da soli?
No, non se è ancora in negazione. Un nutrizionista può essere utile, ma solo dopo che la persona ha accettato di essere aiutata. Forzarla a un appuntamento può aumentare la paura e la resistenza. Prima di tutto, serve un percorso psicologico. Il nutrizionista entra nel team dopo che la mente è pronta a cambiare.
Cosa posso fare se non ho i soldi per un centro specializzato?
Il Servizio Sanitario Nazionale offre percorsi gratuiti per i disturbi alimentari. Basta chiedere al proprio medico di base di inviare la richiesta al Centro Territoriale per i DCA più vicino. In molte regioni, i centri pubblici hanno liste d’attesa, ma non sono costosi. Inoltre, AIDA offre gruppi di auto-aiuto gratuiti in tutta Italia. Non sei solo. Non devi pagare per essere ascoltato.
È vero che i disturbi alimentari colpiscono anche gli uomini?
Sì. Il 10-15% dei casi sono uomini, ma spesso non vengono diagnosticati perché si pensa sia una "malattia da donne". Gli uomini soffrono di anoressia, bulimia e binge eating allo stesso modo. I segnali sono gli stessi: ossessione per il corpo, esercizio fisico eccessivo, evitare i pasti. Ma non parlano perché hanno paura di essere visti come "deboli". Se un uomo che conosci mostra questi segni, parlagli. Non con giudizio. Con rispetto.